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Fyodor Dostoevsky
Per Lévin, come persona miscredente e nello stesso tempo rispettosa delle credenze delle altre persone, la presenza e la partecipazione a qualsiasi rito chiesastico era molto penosa. Adesso, in quello stato d'animo sensibile a tutto e raddolcito in cui egli era, questa necessità di fingere non soltanto era penosa per lui, ma gli sembrò affatto impossibile. Adesso, nel suo stato di gloria, di fioritura, avrebbe dovuto o mentire o commettere sacrilegio. Non si sentiva in grado di fare né una cosa, né l'altra. [...] Assistendo alla prima messa, Lévin si sforzò di rinfrescare in sé i ricordi giovanili di quel forte sentimento religioso che egli aveva provato dai sedici ai diciassette anni; ma si convinse immediatamente che questo gli era affatto impossibile. Si sforzò di considerare tutto ciò come un uso vuoto che non avesse senso, simile all'uso di fare le visite; ma sentì che anche questo non lo poteva fare in nessun modo. Lévin riguardo alla religione era nella situazione più indefinita, come del resto la maggior parte dei suoi contemporanei. Credere non poteva, e nello stesso tempo non era fermamente convinto che tutto quello non fosse giusto. E perciò, non potendo credere che fosse significativo quel ch'egli faceva, né guardarvi con indifferenza, come a una vuota formalità, durante tutta quella preparazione alla comunione egli provava un senso di disagio e di vergogna, facendo quello che egli stesso non capiva, e perciò, come gli diceva una voce interna, qualcosa di menzognero e di poco buono.
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